Damien Rice

 

BIOGRAFIA:

La più bella sorpresa tra le proposte cantautorali irlandesi degli ultimi anni arriva proprio da questo ragazzo della Contea di Kildare, autore di uno splendido disco intitolato "O" uscito nel corso del 2003 per l'etichetta East West.

Già si era messo in luce alla fine degli anni '90 alla guida di un gruppo che si facevano chiamare Juniper, i quali avevano prodotto alcuni singoli etichettati indie, ma senza lasciare grandi tracce.

Dopo questa avventura poco prolifera decide per la carta solitaria e arriva alla pubblicazioni del disco suddetto che viene acclamato dal mondo intero come figlio della più classica tradizione folk di Nick Drake, Leonard Cohen e l'aggiunta del cantautorato moderno in stile David Gray e Tom McRae. Anche la produzione è rilevante in quanto viene affidata a David Arnold già al lavoro con Bjork, Nina Persson e Paul Oakenfold. In esso si trovano alcuni ingredienti che miscelati insieme ne esaltano il risultato come la voce molto suggestiva, le chitarre soprattutto quelle acustiche, gli archi, i cori ed i controcanti, il tutto in arrangiamenti molto delicati, semplici e curati con estrema grazia. I brani che vengono maggiormente esaltati da tutto questo sono soprattutto "Older chests", "Amie" dove l'anima di Nick Drake è più presente, e poi "Cold water" ed "Eskimo" (che chiude l'album) dove le voci femminili, nella prima in duetto e nella seconda in stile lirica, ne esaltano i risultati, e poi comunque tutte le altre che entrano molto bene in testa con uno stile che si potrebbe definire pop da camera. All'inizio del 2004 è passato anche dall'Italia in tour portandosi dietro alcune splendide perle come la voce femminile di Lisa Hannigan, il violoncello di Vyvienne Long e facendo aprire i concerti a Josh Ritter, un americano dalle ottime qualità e adottato di recente dall'Irlanda. Anche le recensioni legato agli show di Damien sono altrettanto positive, sebbene le parti migliori siano quelle più lente e struggenti, piuttosto che le parti elettriche dove si dilunga forse leggermente troppo in jam psichedeliche; gli spettacoli regalano anche alcune cover che spesso ricadono sull'"Halleluyah" di Cohen dove però la versione proposta è più simile a quella che proponeva un altro grande: Jeff Buckley.


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